Il paesaggio rurale della provincia è caratterizzato
nell’altopiano dai muri a secco e dalle masserie a cui sono frequentemente connesse
residenze gentilizie e borghesi di villeggiatura, mentre nelle “cave” appare
non di rado selvaggio e incontaminato oppure intensamente coltivato con culture
irrigue.
Esso rientra quindi a
ragione nel panorama storico-architettonico del territorio. Sulla carta
generale al 50 mila sono segnalati 100 complessi di architettura rurale, di
fattura sempre buona, ma spesso anche ottima, che non esauriscono tutto il
patrimonio esistente, ma soltanto quello schedato agli inizi degli anni 90 a
cura della Amministrazione Provinciale di Ragusa.
Gli edifici schedati
testimoniano il tessuto unitario di tutto il territorio non solo per lo stretto
rapporto fra città e campagna spesso operandovi le stesse maestranze e gli
stessi architetti; ma anche il fatto più semplice che tutta la campagna è stata
costruita dall’uomo. Ne è testimonianza l’opera del massaro ragusano quando con
arte sapiente accumula nei “muragghia”, mirabili e incomprensibili
architetture, le pietre al centro della “chiusa”che ha dissodato e recintato
con i muri a secco. Opera davvero ciclopica la rete di muri a secco che copre
gli interi altipiani di Ragusa e Modica e buona parte del territorio della
provincia: per dirla col Cattaneo,quando parla dei paesaggi umani: “un immenso
deposito di fatiche”. Sbaglierebbe chi pensasse a questa immane fatica come al
frutto, sia pure grandioso, di una grande economia di sussistenza, a forme di
sopravvivenza di vita preistorica. E’ invece la testimonianza dell’affermazione
nel nostro territorio della moderna concezione dell’economia come mercato
europeo a partire dal XV secolo. Un fenomeno per certi versi assimilabile ad altri
episodi di “recinzioni”, europee conseguenza della privatizzazione delle terre
feudali. La pacifica eversione del sistema feudale nella Contea di Modica è
stata attribuita a merito delle concessioni delle terre in enfiteusi da parte
del conte. Oggi si sta raggiungendo una consapevolezza sempre più chiara che
l’istituto dell’enfiteusi fu una delle cause fondamentali, ma non la sola, a contribuire
al processo di privatizzazione delle terre. Lo stesso processo, assai complesso
e differenziato riguarda anche i territori di Acate, Comiso, Santa Croce
Camerina e Ispica staccatesi in diverse circostanze dalla Contea di Modica, ma
a cui rimasero legati da sostanziali unità culturali. E da esso scaturisce la
diversa tipologia degli agglomerati rurali presi in esame dalla schedatura.
Esse possono
raggrupparsi secondo tre comprensori: quello montano comprendenti i territori
dei comuni di Monterosso, Giarratana e, parzialmente, di Chiaramonte Gulfi;
quello dell’altopiano comprendente gli altipiani di Ragusa e Modica; quello della
pianura costiera suddivisibile in due zone: la zona di Bosco Piano o Vittoria,
comprendente i comuni di Acate, Vittoria, Comiso e gran parte del comune di
Chiaramonte e la parte costiera di Ragusa fra i territori di Vittoria e Santa
Croce Camerina; e la zona che da Ispica va a Santa Croce comprendente i comuni
di Ispica, Pozzallo, parte di Modica, Scicli, la parte costiera di Ragusa e Santa
Croce Camerina. Quest’ultima dal punto di vista strettamente geologico fa parte
dell’altopiano calcareo che degrada fino al mare.
In tutte e tre
rimangono segni delle torri quattrocentesche,sopravvivenze dell’assetto feudale
del territorio, come è il caso della Torre di Mastro della zona di Ragusa, o
della Torre Dammuso nella zona di Scicli, o della Torre di Canicarao nella zona
di Comiso. Gli altipiani di Ragusa e Modica sono quelli più sistematicamente
interessati alla recinzione di muretti a secco. In essi la masseria è la sede
di un’azienda basata sull’allevamento e sulla cerealicoltura. Di tale masseria
abbiamo la rappresentazione iconografica più antica nel quadro della Natività
di Santa Lucia oggi conservato nel Duomo di San Giorgio di Modica e databile al
sec. XVI e numerosi documenti d’archivio a partire dallo stesso secolo. Da
questa data si possono ipotizzare le seguenti fasi di sviluppo. In una prima
fase: la masseria appare costituita da una casa “abitaria” destinata alla
lavorazione casearia, dal “casulario” per la conservazione dei caci, da diversi
recinti adibiti alla custodia del bestiame sia bovino che ovino (“manniri” o
”mandre”), da una o più cisterne. Nella seconda fase databile intorno al sec.
XVIII la masseria ragusana, anche se non composta da edifici di notevoli dimensioni,
può occupare una superficie rettangolare, anche notevole fino a 25 metri nel
lato più lungo, con gli edifici disposti intorno al cortile, in alcuni casi su
tutti e quattro i lati e vi si accede da un porticato. Se si dispongono su tre
o due lati, uno o due lati sono chiusi da muri notevolmente sviluppati in
altezza. La “casina” o villa del proprietario tradisce chiaramente negli
elementi architettonici la sua derivazione cittadina.Sono presenti, oltre alle vecchie
funzioni, stalle, fienili e granaio e molto spesso una cappella anche se di
modeste dimensioni.In essa è evidente il salto di qualità fra la villa e le
case rurali a significare il salto sociale fra padrone e massaro. Inoltre la
struttura compatta e chiusa la configura come una vera e propria fortezza con
le spie (“filecce”) a lato della porta d’ingresso e il deposito dei fucili
sotto il porticato d’entrata. La proprietà di questa masseria è generalmente
della piccola e media nobiltà sortita dall’enfiteusi e dalle professioni liberali
titolatesi a partire dal Seicento. Uno degli esempi più antichi e interessanti
di questa tipologia è la masseria di Robbanova sulla
strada Modica-Ragusa,
analiticamente descritta dal Balsamo nel
suo giornale del
viaggio in Sicilia. Il più recente tipo di masseria e il piu diffuso è databile
dalla metà del secolo scorso quando la
borghesia procede
alla sistematica trasformazione capitalistica di tutto il territorio
dell’altopiano. Le terre passano nelle mani di ricchi speculatori, commercianti
o grossi proprietari terrieri. Queste masserie non sono più salde e compatte ma
aperte e articolate, il cortile si allarga in modo sostanziale fino a diventare
quadrato, le “casine“ sono vere e proprie ville suburbane anche se non di grandi
dimensioni con uno standard medio di circa nove metri per dodici, con terrazzo
sul prospetto. Dal punto di vista funzionale, invece sono molto simili a quelle
del periodo precedente anche se le case coloniche sono più capaci e più numerose.
Le dimore rurali piu’ semplici sono spesso le più recenti successive alla suddivisione
delle proprietà fondiarie del Novecento. La maggior parte delle ville segnalate
in questa zona risalgono ai due ultimi periodi. Generalmente furono costruite o
ampiamente ristrutturate lungo l’Ottocento fino ai primi decenni del Novecento
dagli stessi professionisti che operarono in città . Ne è esempio la villa Moltisanti
in contrada Palazzello progettata dall’ Ing. Giovanni Migliorisi (1850-1919) la
cui opera più rilevante è il villino Arezzo in Ragusa Ibla del 1910, oppure la più antica villa Sortino Trono del
1863 opera dell’architetto Michele Pennavaria autore fra l’altro del portico
d’ingresso al Cimitero ( 1873 ) e della fontana di Piazza Schininà di un
decennio più tardi. E molto operoso appare in queste costruzioni il geometra
Interlandi cui si deve la villa Ottaviano in contrada Montagnella impiantata su
un quadrato di base come doveva essere la villa Comitini in contrada Coste, che
è molto probabile debba ascriversi allo stesso Interlandi anche per la stessa
impostazione panoramica per cui i prospetti principali non sono circondati
dalle case coloniche. Un discorso a parte merita il Castello di Donnafugata
sogno romantico di Corrado Arezzo (1824-1895) continuato dopo la sua morte fino
al 1925-30 quando fu compiuta la grande loggia nel prospetto in stile gotico
veneziano. In essa le maestranze locali vi scolpirono mirabili motivi
medioevali come avevano fatto nell’altra villa detta Torre di contrada San Filippo
.
Nel territorio di
Bosco Piano che da Acate va fino a Chiaramonte
Gulfi, l’assidua e
costante presenza dell’uomo sui campi tende a
concentrarsi in
piccoli villaggi allungati sulla strada, come Pedalino,Quaglio, Roccazzo,
Sperlinga, Piano dell’Acqua, provocando l’abbandono di numerose residenze
sparse che appaiono sovente in rovina. Alcune di queste sono di notevole
dimensione e di particolare assetto monumentale come Villa Montesano di
contrada Fontanazza. Solo recentemente si assiste a una lodevole inversione di
tendenza che vede il restauro di alcuni di questi notevoli insediamenti come
quelli di casa Rizza in contrada Fagotto o della Torre di Canicarao quasi
sicuramente ascrivibile al Gagliardi: esempio fra i più interessanti di
architettura rurale settecentesca che si discosta dalla contemporanea più
diffusa tipologia delle ville da diporto siciliane. I grandi agglomerati sono caratterizzati
dalla presenza costante del palmento, della cantina,talvolta del trappeto, la
stalla degli equini, mentre la casa padronale spesso occupa il secondo piano,
talvolta è al piano terra, e la tipologia è generalmente assimilabile, per la
struttura aperta e articolata a quella più recente degli altipiani di Ragusa e
Modica. Le grandi masserie, oggi quasi sempre abbandonate, caratterizzano invece
il comprensorio montano e appaiono più legate a condizioni di latifondo e
condividono tipologie delle provincie limitrofe, e precisamente di Siracusa per
il territorio di Giarratana e di Catania per quello di Monterosso e la parte
più montana di Chiaramente Gulfi. L’esempio più cospicuo di queste masserie è
la fattoria Musso in condrata San Giacomo nei pressi di Giarratana. Essa è il prototipo
della masseria del latifondo, protetta dell’alta cinta muraria e posta a
dominio delle valli dell’Irminio e del Tellaro. Alla domanda della sorbetteria
e del rinfresco signorile rispondono le “ nivere ” interessanti costruzioni
semi ipogeiche adibite alla conservazione della neve. Come nei territori delle
provincie limitrofe accanto alle grandi masserie generalmente armentizie sono presenti
i cosidetti “pagghiari” per riparo dei pastori e per il deposito degli attrezzi
in presenza del frazionamento minimo, dei terreni vicino agli abitati, appaiono
più legate a condizioni di latifondo, anche se non necessariamente feudale, e
accanto ad esse sopravvive qualche esempio di mandrie per ovini nei dintorni di
Scoglitti e lungo la cava di Randello.
E però le ville hanno
dimensioni monumentali e notevoli ambizioni architettoniche. Ne sono esenti la
fattoria Randello di notevoli dimensioni e la Villa Pace.
Nel comprensorio
della pianura costiera abbiamo elementi misti fra le due precedenti dovute a
una più duratura persistenza dei feudi di cui la masseria appare l’insediamento
residuale quasi fossile e fortemente modificato da successivi frazionamenti. La
villa padronale vi ha una sua autonoma e preponderante presenza e la tipologia
è spesso ondeggiante fra quella armentizia e quella più propriamente agricola
con il palmento per la vinificazione, il trappeto per l’oleificazione e la
cantina. Non infrequentemente le masserie appaiono legate all’allevamento ovino
e in tal caso attorno al cortile si trovano gli stazzi (“manniri” o “mandre”).
Di questa tipologia è costellato il territorio di Vittoria; e negli immediati dintorni
si possono visitare facilmente Villa Elsa in contrada Bosco Piano, oppure Villa
Mazza e Villa Pozzilli in contrada Pozzilli. A differenza delle ville degli
altipiani estremamente diversificate nelle proprietà, anche se raggruppabili in
grandi famiglie, come gli Arezzo, qui in questa terza zona esse appaiono
concentrate in poche mani, dei Mormino e dei Penna nel territorio di Scicli a significare
la capacità di queste due famiglie a monopolizzare i processi produttivi del
territorio. Anche qui a costruire le ville sono gli stessi professionisti che
operano in città e fra i più ricorrenti è l’Ing. Ignazio Emmolo, autore fra
l’altro di villa Ruben e di villa Mormino di contrada Santa Rosalia. Esemplare
come tipologia è la villa Trippatore presso Sampieri. In queste due ultime zone
la
caratteristica che le
differenzia nettamente da quella degli altipiani è la presenza dei pozzi al
posto della cisterna. E nelle ville monumentali esso diventa spesso, oltre alla
cappella, un importante elemento architettonico.
In considerazione
dell’unitarietà di stile e tecnica costruttiva che caratterizzano città e
campagne della provincia abbiamo preferito inserire, le architetture rurali
nell’itinerario generale e negli itinerari specifici di ogni periodo.
Sulla carta saranno
segnate quindi delle diramazioni degli itinerari operando necessariamente delle
inevitabili selezioni.